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Il pane quotidiano

Credo che il ritrovarsi a tavola tutti insieme, sia una delle cose più belle e gratificanti della nostra vita. Ritrovarsi, fermarsi, assaporare il cibo, il pane, il vino e lo stesso salame nostrano della nostra terra, l’erbazzone, i cappelletti, i tortelli sono una delle cose più piacevoli della nostra vita quotidiana.

In questo tempo di Covid una delle cose alle quali abbiamo dovuto rinunciare, è stato “il ristorante”.
Mi è capitato spesso di sentire persone rammaricate del fatto di non potere andare al ristorante; anche a me è dispiaciuta questa restrizione perché andare al ristorante con la mia sposa ma anche con gli amici costituisce un momento di gradevolissima convivialità e non solo perché cosi evito di cucinare, ma perché è bello assaggiare cibi nuovi, o preparazioni antiche, o sapori della nostra tradizione che ci rimandano ad un passato vero e genuino.
Ma preparare da mangiare per gli altri è qualcosa di più; è uno degli atti d’amore (che soprattutto tante mamme hanno compiuto e compiono ogni giorno), più significativi. È un modo per dire “Ti voglio bene”, è un gesto di carità.

La domenica, quando le famiglie delle mie figlie pranzano con noi con i nostri sette nipoti, è sempre una festa. Amo cucinare per loro e godo quando gustano i piatti che ho preparato.
Credo che in questi gesti semplici, ripetitivi, troppo spesso dati per scontati, ci siano nascoste una grande sapienza e un enorme ricchezza. Il ritrovarsi a tavola insieme è un modo semplice ma straordinario per potere manifestare concretamente il nostro affetto alle persone.
Mi piacciono i tavoli grandi, massicci, capaci di ospitare tante persone. Che tristezza mi fanno le penisole, gli sgabelli; nelle nostre cucine moderne sembra quasi che il tavolo stia scomparendo e che il pasto sia diventato una cosa frugale cui dedicare il minor tempo possibile. Il tavolo è al tempo stesso piano di lavoro. Il cibo è stato ridotto alla sua dimensione di necessità di nutrimento.
Il cucinare è un’arte; un’arte straordinaria.
Preparare un cibo con attenzione, dedicando tempo, passione, significa far parte di una storia di radici di una cultura intrisi di profondi valori di convivialità e condivisione.
È necessario che impariamo a non accontentarci di qualsiasi nutrimento, di qualsiasi salame. Dobbiamo cercare e apprezzare il migliore.

Mi piace preparare le marmellate, i liquori, il nocino, l’aceto balsamico invecchiato per anni. Che meraviglia quando assaggiamo un cucchiaino di aceto balsamico tradizionale reggiano di venticinque anni, o quando assaporiamo un nocino invecchiato per cinque anni in botti di castagno, è una sensazione unica; soprattutto se poi questo avviene in compagnia e nella condivisione dei vari pareri.

Cucinare è un gesto di carità ma perchè possa esserlo realmente, bisognerebbe che tutti potessero partecipare dei beni della terra.
ll pane, il cibo, sono un diritto di tutti. Diceva san Giovanni Paolo II: “La creazione è per tutti; è doloroso constatare come a questa sorta di grande banchetto possa sedersi solo una parte della popolazione mondiale, circa il 35 % che consuma tutto quello che vi è a disposizione; e il restante 65% deve rimanerne escluso. I cristiani dovrebbero impegnarsi con ogni sollecitudine per far sì che questa ingiustizia termini”.

D’altra parte, il gesto più significativo che Gesù ha compiuto nella sua vita, lo ha realizzato proprio a tavola “con i suoi” (gli apostoli nell’ultima cena) e ha usato il pane. Si, ha usato il pane per lasciarci il segno più eloquente della sua presenza: il pane Eucaristico che noi anche oggi possiamo mangiare. Gesù infatti ha detto: Prendete e Mangiatene tutti.

Giuseppe Bigi