Casa Betania ha 20 anni. Il fiore degli anni. Si affaccia alla maturità ma ha ancora tutta la forza del vento della giovinezza a sospingerla.
In questi 20 anni i volti, le storie, le preghiere e le suppliche che si sono incrociate e abbracciate tra le sue mura l’hanno resa una realtà unica, variegata, multiforme, viva più che mai, vivificata prima di tutto da quello Spirito, che soffia dove vuole e che è l’Amore di Dio.
Come spettatori meravigliati ci mettiamo a contemplare le piccole e straordinarie esperienze che questo Soffio Vitale ha compiuto attraverso gli anni: le persone accolte e accoglienti –impossibile dire chi accolga chi, perché è unicamente nella reciprocità del gesto che se ne scopre l’autenticità-; i progetti che hanno generato frutti di bontà (anche buoni nel gusto e nell’aspetto), di cura, di soddisfazione; i luoghi sempre aperti, curati, belli dal punto di vista estetico e dell’esperienza che si fa in essi: la casa stessa, l’uliveto, il vigneto, l’orto giardino.
Le tante, tantissime tavole attorno a cui abbiamo mangiato, discusso, ascoltato, taciuto, cantato. Tutto ritorna e riparte dalla Cappella di Casa, dove ogni sera al Vespro facciamo memoria, affidiamo, lodiamo, ringraziamo, imploriamo quello stesso Spirto, di animare anche il domani, di dare vita a tutto, di ispirare le strade giuste, le scelte più autentiche, l’accoglienza più vera di chi abbiamo accanto e di chi arriverà.
I 20 anni di casa Betania sono caratterizzati da tutto questo, ma anche da tanto altro. La fatica e la gioia si mescolano al dolore e alla malinconia, come in ogni giovinezza che sia veramente tale, gli errori, alle speranze di fare sempre meglio e di realizzare i sogni che battono forti dentro e chiedono di essere accolti e portati a compimento. Sono i sogni della Provvidenza, di un mondo più vero: dove il Regno dei Cieli non è una favola, ma la vera prospettiva in cui vivere ogni giorno e a cui accompagnare le persone più fragili e sole, perché finalmente si sentano a Casa e possano riposare.
Il 1° ottobre il Vescovo Massimo ha benedetto e mandato a realizzare il sogno di Gesù, del suo Regno, famiglie e giovani che hanno detto “sì” a questa storia di Casa Betania, iniziata 20 anni fa. Sono le persone che nei prossimi cinque anni custodiranno la casa, nei turni di tre mesi. Non sono mancati il timore, la preoccupazione, l’insicurezza riguardo le proprie capacità, sui volti di chi ha risposto a questa chiamata ad accogliere e ad accettare di essere accolti così come si è da una famiglia ampia come quella di Casa Betania, ma su tutto ha prevalso la fiducia. La stessa che nutrono i bambini verso la bontà della vita e verso chi li circonda. In questa scuola di piccolezza e di abbandono -a cui ci ha avviati Santa Teresa di Lisieux, della quale la Chiesa fa memoria proprio il giorno della fondazione di Casa-, ci ha riportati anche il Vescovo Massimo con le parole di commento al Vangelo di quel giorno. Le condividiamo perché sono davvero l’augurio che facciamo, per i prossimi 20 anni, a tutte le persone che vivranno con noi da vicino o da lontano, questa storia straordinaria e con il loro cuore grato e affidato, contribuiranno a renderla sempre più vera e viva.
“La dipendenza, un bambino è sicuro perché sa che c’è la mamma anche se non è lì, poi se è lì a maggior ragione… poi se gli tende le braccia, ancora di più! Un bambino sa di essere generato dalla mamma e poi dal papà e sente in questo un’immensa forza e una grande gioia. Il salmo dice che noi dobbiamo essere come bambini in braccio alla madre, ma i profeti parlano anche di bambini portati dal Padre. In questa dipendenza dei bambini dal padre e dalla madre, Gesù vede la sua dipendenza dal Padre e propone dunque, a noi, i bambini come strada di insegnamento della nostra dipendenza dal Padre. È molto facile parlare di Dio (anche se si parla poco di Dio), ma è molto più impegnativo vivere con Dio, vivere il dialogo con Lui, vivere sotto il suo sguardo, sotto il suo cenno, come dice Maria di se stessa “sotto il cenno del Signore”. Quindi la prima cosa che i bambini ci insegnano è che nel loro sguardo ci sono sempre il padre e la madre.
Ma c’è un’altra cosa dei bambini che mi colpisce ed è che essi, pur vivendo sempre sotto lo sguardo del padre e della madre, sono liberi, cioè sono tutti nell’attimo che stanno vivendo. Quando stanno facendo un gioco sono tutti in prigione, quando sono davanti a una cosa sono rapiti da quella cosa che vedono per la prima volta o anche per l’ennesima volta, ma che sembra nuova davanti ai loro occhi. Per un bambino anche solo un gatto è un universo, per lui un gatto parla, così come un cane, così come le cose, è libero!
Un’altra caratteristica del bambino dopo la dipendenza è la libertà. Nessuno come Gesù ha vissuto la libertà, cioè non era definito da nessun potere anche nei momenti più drammatici della sua vita, la passione e la morte… egli era, pur essendo profondamente turbato, segnato, triste: sovrano “Io do la mia vita liberamente per poi riprenderla”.
(…)
Ecco impariamo anche noi ad immergerci nella vita di Gesù, nella sua dipendenza dal Padre, nella sua libertà dal mondo per poter vivere sotto lo sguardo di Dio e liberi dallo sguardo del mondo.”
Possano il cuore, la mente e le forze di ciascuno di noi, consegnarsi e impegnarsi tutti nell’amore a Dio e ai fratelli e alle sorelle che lo rendono incarnato e possibile ogni giorno.
Davide Pellizzari